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Medicina NaturaleL’altra faccia della medicina: l’Infiammazione

L’altra faccia della medicina: l’Infiammazione

Ci sono due medicine, che si confrontano da sempre.
C’è la medicina della malattia, che assiste il paziente succube di un male cui da solo non sa opporsi, e c’è la medicina della salute, che rafforza l’organismo e gli consente di salvaguardarsi autonomamente.

La medicina della malattia accorre in aiuto dall’esterno intervenendo con farmaci potenti, ma generalmente realizzati per sintesi chimica ed estranei alla composizione e al funzionamento dell’organismo malato. Questa medicina ha inciso profondamente sulla qualità dell’esistenza in vita dell’intera umanità, prolungandone la durata e strappando da una fine precoce milioni di malati, ma da sola non assicura una soluzione definitiva alla patologia per cui viene utilizzata. Al pari dei problemi della vita in genere, anche le malattie nascono da un disordine interiore, che le alimenta e le favorisce. È da dentro, quindi, che vanno affrontate e risolte. La medicina della salute interviene a questo secondo livello, Affronta la malattia non dall’esterno, ma rafforzando l’organismo malato, ripristinandone le difese sopite, riparando le brecce che hanno aperto la strada alla malattia. Restituisce al malato, in definitiva, la capacità di badare a se stesso. Questa medicina opera silenziosamente e senza clamore, ma a ben guardare è l’unica ad offrire guarigioni e soluzioni durature.

Un aspetto della medicina della salute, verte sull’infiammazione, che è un processo ai confini tra fisiologia e patologia, dove sfuma in un quadro morboso a sé, chiamato malattia conformazionale.

L’infiammazione appartiene alla fisiologia nei limiti in cui rientra nell’omeostasi, la capacità elementare che consente alla vita di reagire alle perturbazioni chimiche, fisiche e microbiche, cui essa è incessantemente esposta, con contro-aggiustamenti di segno opposto (Guyton, 1986). Questa capacità si manifesta con sintomi non solo noti fin dall’antichità, ma tuttora esposti e appropriatamente commentati in molti testi e programmi d’insegnamento universitario delle materie mediche. In breve, tali sintomi sono in primo luogo rappresentati dal dolore infiammatorio (dolor), che avverte e segnala all’organismo un pericolo, spingendolo ad affrontarlo e pararlo. Poi vengono la tumefazione (tumor) e la congestione vascolare (rubor), che riflettono la componente cellulare e sanguigna della reazione omeostatica infiammatoria. Quindi l’ipertermia (calor), localizzata e sistemica come febbre, che fornisce un indice del dispiego d’energia complessivamente coinvolto nel processo. Infine la functio laesa, un termine che designa il danno insito in una funzione fisiologica infiammata e la sua momentanea disattivazione, che ne facilita la successiva ripresa e il ripristino.

Questa infiammazione ha un evidente carattere fisiologico, con finalità decisamente difensive e riparative. Si avvale inoltre, seppure esasperandoli, di sistemi cellulari e umorali che sostengono il normale, fisiologico funzionamento dell’organismo. Corrisponde alla popolazione civile, che colpita da un’alluvione o da un incendio imbraccia la pala, la scopa o la pompa e mette mano in prima persona alla riparazione dei danni e alla ricostruzione. Al massimo, l’infiammazione assume una connotazione patologica quando si manifesta in maniera abnormemente elevata. Succede ad esempio con le puntate febbrili che possono danneggiare i centri nervosi del bambino o con i dolori infiammatori lancinanti, che esaurita la funzione di segnale d’allarme diventano stressanti e controproducenti. Nel caso di una puntura d’insetto o di una piccola ferita il processo si conclude favorevolmente in meno di mezz’ora. Una frattura ossea può invece richiedere alcune settimane. L’infiammazione andrebbe quindi moderata, anche con mezzi farmacologici, ma solo quando la sua eccessiva intensità lo richiede, rispettandone il corso naturale e il carattere protettivo e riparativo.

Invece, nonostante l’imponente evidenza fisiopatologica che inviterebbe alla prudenza, la comunità scientifica e le autorità sanitarie stanno assistendo senza protestare a un abnorme, indiscriminato ricorso a farmaci antinfiammatori steroidei e non steroidei aggressivi, tendenti non a moderare l’infiammazione, ma a reprimerla. I danni che ne derivano sono sotto gli occhi di tutti. I cortisonici aumentano le sovrapposizioni infettive. I FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei) interferiscono col sistema delle prostaglandine, bloccando la secrezione mucinica che protegge la mucosa gastrointestinale. In questo modo essi alimentano il rischio concreto di erosioni ed ulcere. Per pararle, si ricorre all’associazione con gastroprotettori, che però riducono l’assorbimento di vitamine e altri nutrienti preziosi con conseguenze nefaste (Fallahzadeh et al., 2010; Wijarnpreecha et al., 2016).

C’è la suddetta infiammazione a carattere difensivo e riparativo, detta anche primaria, ma c’è anche un’infiammazione secondaria, che si rinserra attorno ai fattori morbosi che non riesce a sconfiggere: ne rimane così ingabbiata, acquisendone e moltiplicandone il carattere patologico (Silvestrini, 1969). Queste circostanze si accompagnano al deposito di detriti tossici rappresentati da proteine denaturate. Oltre ad essere necrotizzanti di per sé (Opie, 1962 e 1963), esse possono alimentare una reazione auto-aggressiva di tipo immunitario legata a determinanti antigenici comuni alla proteina denaturata e ai suoi corrispettivi nativi.

Per inciso, è stato Rudolph Virchow nel 1854 a coniare il termine “amiloide” per designare un deposito di questo tipo, da lui rinvenuto nel cervello e dotata di una reazione chimica simile a quella della cellulosa. Nel 1859 Friedrich e Kekulé hanno dimostrato che l’amiloide è piuttosto ricca in proteine denaturate (si veda Sipe e Cohen, 2000). In seguito le osservazioni in questo senso si sono moltiplicate, dando corpo all’idea di un elemento patogenetico critico, rappresentato da un abnorme deposito di proteine denaturate dotate di una duplice valenza in senso necrotizzante e auto-aggressivo. Oltre all’infiammazione secondaria, questo elemento contraddistingue svariate patologie, in precedenza studiate e affrontate separatamente.

Il termine “malattia conformazionale” è recentemente entrato nell’uso corrente per indicare un vasto e variegato quadro di condizioni mediche accomunate dal suddetto, abnorme processo di denaturazione, aggregazione e condensazione proteica. Questo quadro, noto anche come malattia condensazionale o proteinopatia, comprende non solo le altre affezioni a carattere autoimmunitario, ma anche patologie prettamente degenerative e distrofiche, come l’amiloidosi, la cataratta, l’aterosclerosi; si tende inoltre ad includervi affezioni a carattere misto, come i morbi di Alzheimer, di Parkinson e dei prioni (Benedeck, 1997; Carrell and Lomas, 1997; Chiti e Dobson, 2006; Gunton et al., 2007; Luheshiet al., 2008; Saso e Silvestrini, 2001; Stefani, 2004; Uversky and Fink, 2006 and 2007; Westmark et al., 2007).

In partenza, la denaturazione, aggregazione e condensazione proteica non è un fenomeno patologico, anzi, essa è in origine parte integrante del ciclo biologico delle proteine, comprendente sintesi, crescita, maturazione (col relativo dispiegamento della molecola proteica e pienezza delle sue funzioni fisiologiche) e declino. Quest’ultimo corrisponde alla denaturazione, normalmente seguita da una disgregazione molecolare che libera gli aminoacidi, rendendoli disponibili per le nuove sintesi proteiche che riprendono e perpetuano il ciclo. La denaturazione diventa patologica quando si manifesta in maniera abnorme, traducendosi nell’accumulo dei summenzionati detriti dotati di una valenza in senso necrotizzante e auto-aggressivo.

L’entità della denaturazione, e quindi il suo eventuale sconfinamento in senso patologico, dipendono da fattori genetici e ambientali. I primi sono fissi, essendo insiti nella struttura molecolare originale di ciascuna classe di proteine. I secondi sono riconducibili alla cosiddetta “ubiquitinazione”, consistente nell’adozione, mediante forze di Van der Waals, di piccole molecole o endogene o esogene, che stabilizzano la proteina, aumentandone la resistenza alla denaturazione.

La prima, indiretta indicazione della presenza nell’organismo di molecole dotate di un effetto stabilizzante sulle proteine risale alla scoperta che l’ittero ostruttivo comporta, assieme all’accumulo nel sangue di sali biliari, una remissione dell’artrite reumatoide (Hench, 1937). Un’indagine successiva ha dimostrare nei sali biliari non un’azione cortisonica, come aveva supposto Edward Calvin Hench, ma un’azione antidenaturante (Silvestrini et al.,1968). Tale azione sarebbe legata alle proprietà tensioattive dei sali biliari, che migliorerebbero l’idratazione della molecola proteica, frenandone la denaturazione con questo meccanismo.

Un’azione antidenaturante è stata rilevata anche nei FANS (Mizushima, 1963, 1964 e 1965; Silvestrini, 1968), dove andrebbe di pari passo con l’azione antinfiammatoria legata alle proprietà antiprostaglandiniche. Purtroppo l’azione antidenaturante si manifesta a dosi relativamente elevate, comunque superiori a quelle gravate da pesanti effetti collaterali.

Un effetto antidenaturante analogo, ma disgiunto dall’azione antinfiammatoria legata a proprietà antiprostaglandiniche, è stato rilevato nel Bindarit, una molecola di sintesi (Cioli et al.,1992; Guglielmotti et al., 1993). Purtroppo si tratta di una sostanza estranea alla composizione e al funzionamento dell’organismo umano, gravida di potenziali effetti collaterali che ne hanno fin qui impedito l’impiego terapeutico.

Allo stato dell’arte, i risultati più promettenti appaiono quelli rappresentati dall’azione antidenaturante rilevata in acidi grassi essenziali, alcuni dei quali d’uso corrente come integratori alimentari (Saso et al., 1995 a; Saso et al., 1995 b). Diversamente dai sali biliari e dai FANS, essi sono attivi a dosi e concentrazioni ematiche ragionevolmente prive di effetti collaterali. Alcune di queste sostanze inibiscono anche la precipitazione dell’ossalato di calcio in soluzione acquosa soprassature (Saso et al.,1995 c). Questo dato suggerisce che la resistenza alla denaturazione della molecola proteica dipenda dal suo grado di idratazione, conferito per “ubiquitinazione” dall’adozione di sostanze che modificano le proprietà fisiche dell’acqua. Alcuni di questi fattori, come i sali biliari, sono prodotti all’interno del nostro organismo. Altri, come gli Omega 3, sono d’origine alimentare. Studi epidemiologici rivelano una significativa correlazione tra il loro consumo e la ridotta incidenza di patologie a carattere degenerativo e autoimmune, oggi etichettate come malattia conformazionale.

Siamo così arrivati al temine della terza parte di questa carrellata sulla medicina della salute. Siamo partiti dall’infiammazione “primaria”, che è espressione della capacità elementare della vita di preservarsi reagendo alle perturbazioni con contro aggiustamenti omeostatici di segno opposto. Siamo poi passati all’infiammazione “secondaria”, con la quale questa capacità si rinserra attorno alle perturbazioni che non riesce a rigettare, acquisendone la componente patologica. Avviene attraverso l’accumulo di scorie dotate di una duplice componente, in senso necrotizzante e immunitario auto-aggressivo. Abbiamo quindi visto come questa componente patologica consista in un deposito di proteine denaturate, aggregate e condensate, che stravolgono il naturale ciclo biologico di una proteina. L’evidenza scientifica accumulata negli ultimi due decenni mostra come questa componente segni e contraddistingua un vasto quadro morboso, noto come malattia “conformazionale”. Esso comprende non solo l’artrite reumatoide e altre affezioni a carattere autoimmunitario, ma anche patologie prettamente degenerative e distrofiche, come l’amiloidosi, la cataratta, l’aterosclerosi; si tende inoltre ad includervi affezioni a carattere misto, come i morbi di Alzheimer, di Parkinson e dei prioni.

È provato che molte sostanze, di sintesi oltre che endogene o d’origine alimentare, possano esercitare effetti antidenaturanti a dosi e concentrazioni compatibili con un impiego terapeutico efficace e sicuro. Qui ci siamo per ora fermati, non senza l’annotazione di una ricerca italiana all’avanguardia in questo settore, che merita d’essere sostenuta e incoraggiata.

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Pubblicato anche su: Medici Italia

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Medico, cultore della Farmacologia e della Bioetica, ha dedicato l’esistenza alla valorizzazione dei talenti nascosti nella natura e nella Persona umana. Crede nella medicina naturale ed è autore di studi e testi sull’ argomento. Ha realizzato farmaci di rilievo internazionale. Ha sostenuto con borse di studio giovani di talento. Vanta numerosi lavori scientifici, brevetti e trattati. E’ Presidente Onorario di Noopolis e Professore Onorario dell’Università “Sapienza” di Roma e gode della stima della comunità scientifica italiana e internazionale. E’ impegnato col figlio Luca nello sviluppo di un’Azienda farmaceutica fondata sul naturale.

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