Capire la differenza tra Farmaco naturale e di sintesi
In questo articolo affronteremo prima il problema farmaco di sintesi – farmaco naturale nei suoi termini generali, poi calandolo nel merito dell’ultima generazione delle patologie carenziali.
Un esempio concreto: la gravidanza
Parafrasando un detto famoso, “se vuoi aiutare il pescatore affamato, non regalargli il pesce, ma insegnagli a pescarlo“. Un illustre economista, che si è occupato di Programmi di assistenza ai Paesi in via di sviluppo, ha scritto che “l’invio caritatevole di derrate alimentari ha avuto in India conseguenze nefaste, peggiori delle carestie cui intendeva porre rimedio” (Galbraith,1980). In medicina, l’alternativa tra intervento assistenziale e intervento propositivo si pone tra il cosiddetto farmaco di sintesi e il farmaco naturale: il primo combatte la malattia al posto dell’organismo, il secondo invece lo rafforza, attivandone le difese interne. Il problema si pone a tutti i livelli, ma acquista un rilievo particolare nel connubio tra la madre e l’esserino che germoglia nel suo grembo: la prima col suo organismo già consolidato, il secondo ancora esposto ad ogni genere di insidie e pericoli. Lo insegna la storia della talidomide, un sedativo innocuo per la madre, teratogeno nel corso dello sviluppo embriofetale. In questo articolo affronteremo prima il problema nei suoi termini generali, poi calandolo nel merito dell’ultima generazione delle patologie carenziali.
Il termine “di sintesi” è entrato nell’uso corrente per indicare un farmaco assistenziale, estraneo alla composizione dell’organismo su cui interviene. Per semplicità, lo adotteremo anche noi qui di seguito, puntualizzando che appartengono a questa classe anche farmaci d’origine vegetale usati esclusivamente per fini terapeutici. Questo è, ad esempio, il caso della reserpina, che sotto il suddetto profilo non si discosta dai suoi moderni succedanei, rappresentati dagli antipertensivi e antipsicotici ottenuti per sintesi chimica anziché per estrazione da una pianta. Viceversa, un farmaco naturale rimane tale anche se è riprodotto identico per sintesi. Chiedo scusa al lettore evoluto per queste precisazioni, ma non tutti lo sanno.
Il farmaco di sintesi è tuttora il grande protagonista della medicina moderna. Gli antibiotici e i chemioterapici hanno letteralmente strappato alla morte milioni di persone. Sono salvavita anche gli antidepressivi, che consentono di controllare una malattia capace, nei casi estremi, di portare al suicidio. Sono ugualmente preziose le migliaia di farmaci di sintesi che controllano e curano concretamente la maggior parte delle malattie, e hanno così innalzato la qualità e la durata dell’esistenza nei paesi sviluppati, purtroppo gli unici ad avvalersi appieno dei loro benefici.
Il farmaco di sintesi è purtroppo un corpo estraneo, una sostanza che interviene contro le malattie sostituendosi all’organismo, che alla lunga ne risulta indebolito al punto da non poter sopravvivere senza il suo aiuto. Ci sono anziani che arrivano ad assumere fino a 10 e più medicine al giorno. Se vengono a mancare la malattia si ripresenta, ancora più grave di quanto fosse in partenza. Si chiama rimbalzo, in inglese rebaund, ed è dovuto al fatto che l’aiuto assistenziale ha indebolito l’organismo, fino a spodestarne le difese fisiologiche.
Il Premio Nobel Daniel Bovet, uno dei miei maestri, nel suo ultimo libro ha scritto che prima del 1930 “la medicina aiutava, forniva palliativi, lasciava fare alla natura, ma non sapeva modificare il corso delle malattie: se erano leggere guarivano, se erano gravi uccidevano” (Bovet,1992). Questo in parte è giusto, ma la natura a volte riserva qualche sorpresa. Qualche tempo fa a uno dei miei figli è stato riscontrato uno stato ipertensivo. Il cardiologo gli ha prescritto un antipertensivo, ma prima d’iniziare la cura mio figlio mi ha chiesto consiglio. “Aspetta“, gli ho detto, “perché se cominci la cura sarai costretto a continuare per sempre.
Prova a rallentare il ritmo del lavoro e ricomincia a fare un po’ di sport, che ultimamente hai trascurato. Mangia meno, perché hai messo su qualche chilo di troppo, e riduci il sale. Se il cibo ti sembra insipido, condiscilo con il peperoncino. Continua così per qualche settimana, poi deciderai a ragion veduta“.
Ho spiegato la situazione al maggiore dei suoi figli, che dei miei nipoti è il più giudizioso, e gli ho chiesto di fare una corsetta quotidiana assieme al suo papà. Si è talmente immedesimato in questo compito, che ha costretto il padre a seguirlo. Trascorso un mese, mio figlio mi ha telefonato: “Avevi ragione, perché la pressione si è normalizzata, ma tuo nipote corre come un forsennato e per stargli dietro, io rischio l’infarto”. Rideva, ma c’era nelle sue parole un senso di orgoglio paterno, che mi ha intenerito.
Sarebbe bello aiutare i nostri pazienti così, ma il tempo spesso non basta. Inoltre, i processi fisiologici del nostro organismo possono essere talmente compromessi, che il sostegno psicologico può non essere sufficiente, come ad esempio in caso di mancanza di cibo, l’inedia. Nella storia dell’umanità, ha mietuto più vittime la denutrizione di tutte le altre malattie messe insieme. Per contro, hanno salvato più vite umane le grandi rivoluzioni alimentari, a cominciare dall’arrivo della patata in Europa, di tutte le medicine, antiche e moderne.
Nel suo libro “La ricchezza delle nazioni” Adam Smith deplora che nel ‘700 i suoi compatrioti non apprezzino ancora un prodotto alimentare prezioso, arrivato in Europa due secoli prima. Da una civiltà che poi noi Europei abbiamo poi praticamente sterminato.
I processi fisiologici che ci difendono dalle malattie possono indebolirsi per la mancanza non solo di cibo, ma anche di altri elementi ugualmente essenziali, nascosti alla vista. Alcuni hanno trovato un impiego medico fin dall’antichità, sebbene sotto forma di acque e alimenti che solo oggi sappiamo esserne ricchi. Per esempio, oltre 2000 anni fa Ippocrate curava la cecità infantile e il rachitismo col succo fresco di fegato, ricco in vitamina A e D. Sembra che curasse anche gli sbalzi d’umore, oggi noti come “disturbo bipolare”, con acque sorgive ricche di litio.
Questa però è un’altra storia, che merita una trattazione separata. Nel 1747 James Lind ha documentato, col primo studio clinico “controllato” dell’epoca moderna, l’efficacia del succo di agrumi nello scorbuto, che falcidiava gli equipaggi di lungo corso.
È bene ricordare che questa malattia si manifestava con emorragie gengivali, caduta dei denti, feci sanguinolente e febbri violente, seguite da una prostrazione mortale. Nel 1906 l’Ammiraglio Takaki ha sconfitto il beriberi, una neuropatia periferica per certi aspetti simile alla malattia di Alzheimer, che si era diffusa in Giappone in seguito alla brillatura del riso. Takaki non era un medico, ma aveva intuito che il beri-beri è causato dalla mancanza di un elemento essenziale, contenuto nella cuticola dei grani di riso, che con la brillatura si perde.
Risolse il problema con una dieta a base di riso integrale. Il 1923 è stato l’anno della scoperta della vitamina F, successivamente identificata negli acidi grassi essenziali (EFA, Essential Fatty Acids). A differenza delle vitamine, essi hanno anche un valore alimentare, essendo costituiti da una particolare categoria di grassi insaturi. Si ritrovano soprattutto nel pesce e in alcuni vegetali, come i semi di lino. Hanno una peculiarità: sono coinvolti in uno stato carenziale derivante non dalla loro mancanza in assoluto, ma da un eccesso di grassi d’origine animale, che esercitano effetti di tipo opposto. Il problema non si pone con i vegetariani e i veganiani, né con gli eschimesi, che si nutrono principalmente di pesce, ma può nascerne un altro, perché anche l’eccesso può essere dannoso. Est modus in rebus, c’è una misura nelle cose, dicevano gli antichi.
La maggior parte delle vitamine è stata identificata nella prima metà del secolo scorso da vari gruppi di ricercatori, le cui indagini saranno complessivamente coronate da una quindicina di Premi Nobel (Nota).
Ritornando un po’ indietro nel tempo, nel 1909 Frederick Gowland Hopkins aveva dimostrato che alcune sostanze liposolubili d’origine alimentare sono essenziali per la crescita dell’animale da laboratorio. Per questa scoperta, che ha impresso un impulso decisivo alle ricerche in questo settore, nel 1929 gli è stato assegnato il Premio Nobel in medicina. Anche queste sostanze appartengono agli elementi essenziali per l’organismo, ma a differenza delle vitamine hanno un valore alimentare, essendo costituiti da una particolare categoria di grassi insaturi. Sono stati chiamati anche vitamina F e si ritrovano soprattutto nel pesce e in alcuni vegetali, come i semi di lino. Hanno una peculiarità: sono coinvolti in un particolare stato carenziale, derivante non dalla loro mancanza in assoluto, ma dall’eccessivo consumo di grassi animali, che esercitano effetti di tipo opposto. Il problema non si pone con i vegetariani e i veganiani, né con gli eschimesi che si nutrono principalmente di pesce, ma può nascerne un altro, perché anche l’eccesso può essere dannoso.
Dagli acidi grassi insaturi si passa direttamente, dopo oltre 70 anni, all’ultima generazione di affezioni carenziali. Ne è protagonista il collagene, il cui ruolo fisiologico era noto da tempo, ma limitatamente a particolari funzioni o distretti.
Per esempio, il trattato Biochemistry descrive le molteplici funzioni di questa proteina, ma senza entrare nelle conseguenze della sua carenza (Lehninger, 1977). Il Textbook of Medical Physiology va oltre, con particolare riguardo all’apparato osteoarticolare (Guyton, 1986). Vi si legge che il collagene funge da matrice organica, deputata al deposito dei sali minerali nell’osso. Vi si legge inoltre che l’osteoporosi è causata più da un difetto di questa matrice, che dal mancato apporto di sali minerali. L’autore di questo articolo è stato il primo a raccogliere la considerevole massa d’informazioni disponibili sul collagene, ad elaborarla e infine a tradurla in un quadro coerente, descritto in uno dei suoi libri: la “collagenopatia carenziale” (Silvestrini, 2014). Il seguente brano è tratto dal suddetto libro:
“Il collagene è la principale proteina del nostro organismo, dove per la sua duttilità svolge un’incredibile varietà di funzioni. È elastico nella cute, duro e consistente nelle unghie, filamentoso e flessibile nei capelli e nelle fibrille dell’osso, liquido nelle secrezioni. Nell’osso funziona da matrice organica, deputata al deposito dei minerali che gli conferiscono rigidità. Senza il suo intervento, il calcio scorrerebbe via inutilizzato. Sulla cute e sulle mucose stende un velo che protegge e, svolta questa funzione, si disgrega nutrendo i tessuti sottostanti. A chi ha studiato l’Eneide, questo velo ricorda le pizze che Enea scoprì sbarcando a Lavinio: fungevano prima da recipienti, poi da cibo senza lasciare scorie da smaltire. Il collagene è la proteina più abbondante dell’organismo, ma è anche la più soggetta a una perdita continua attraverso i capelli, le unghie, le secrezioni e in altri modi. È stato calcolato che la sua perdita giornaliera corrisponda a circa 20 g di aminoacidi. In parte essi sono rimpiazzati riciclando all’interno dell’organismo le proteine usurate, in parte sono assunti con l’alimentazione. A quest’ultimo proposito, è noto che l’anziano tende a rifiutare la carne e altri alimenti proteici, dei quali avrebbe invece bisogno. Questo fenomeno è riconducibile alla riduzione delle capacità digestive, la quale comporta un eccessivo assorbimento di spezzoni di proteine indigerite, potenzialmente tossiche. Da qui l’idea di ricorrere a una parziale idrolisi del collagene, che ne facilitasse la digestione e l’assimilazione sotto forma degli aminoacidi occorrenti all’organismo per rigenerarlo. Altri hanno avuto la stessa idea, ma è stato l’autore di questo articolo il primo a verificarla sperimentalmente assieme a un collega (Silvestrini e Kirschner, 2000). Da quel momento le documentazioni sperimentali di efficacia si sono moltiplicate in varie condizioni carenziali sia para-fisiologiche, come la senescenza, sia marcatamente patologiche, come l’osteoporosi“.
Il collagene parzialmente idrolizzato è stato notificato alle Autorità sanitarie e introdotto nell’uso corrente come integratore alimentare, nel rispetto della sua proprietà distintiva, consistente nel sostegno al funzionamento fisiologico dell’organismo.
Siamo così ritornati alla gravidanza, alla peculiarità di questa condizione e al conseguente obbligo, medico ed etico insieme, di valutare con particolare attenzione l’alternativa tra farmaco naturale e di sintesi. Sono tre, in particolare, i campi nei quali il collagene propone in termini concreti questa alternativa rispetto al farmaco di sintesi. Il primo è rappresentato dalle gastriti, con relativo corredo di nausea e vomito. Il secondo corrisponde alla cute e annessi, dove la carenza di collagene si traduce in smagliature e in fragilità del capello e delle unghie. Il terzo chiama in causa l’indebolimento dell’apparato osteoarticolare. Qui mi fermo, lasciando doverosamente la parola ai miei colleghi ginecologi.
Nota
La struttura della vitamina A sarà definita nel 1931 da Paul Karrer, ma in alcuni paesi arretrati la sua carenza è tuttora la principale causa di cecità infantile. Nel 1922 Elmer Verner McCollum ha isolato la vitamina D, il cui impiego terapeutico si diffonderà nella seconda metà del XX secolo. È successo anche per merito di Otto Isler, che nel 1946 l’ha ottenuta per sintesi, a costi inferiori e in quantità più abbondati di quella estrattiva. Il rachitismo e l’osteomalacia sono oggi praticamente scomparsi anche per merito della vita all’aria aperta e dell’esposizione alla luce solare, che consente al nostro organismo di prodursela per conto proprio a livello della cute (Silvestrini, 2016a). Il fattore anti scorbuto è stato invece isolato nel 1928 da Albert Szent-Gyorgyi, che vincerà il Premio Nobel nel 1937. Accanto alla vitamina C, egli ha identificato anche la rutina e altri flavonoidi, dotati anch’essi d’interessanti proprietà terapeutiche. Il principio attivo della dieta dell’Ammiraglio Takaki è stato identificato nel 1911: è la vitamina B1, detta anche tiamina. L’ha isolata Kazimierz Funk, che ne ha ottenuto fama e onori, ma non sarebbe riuscito in quest’impresa senza l’aiuto di Christiaan Eijkman, che aveva messo a punto un modello sperimentale di beri-beri, Sulla vivisezione segnalo un mio recente articolo, apparso su MedicitaliA (Silvestrini, 2016b). Passano pochi anni e le scoperte si moltiplicano. La maggior parte delle vitamine conosciute è identificata nella prima metà del secolo scorso da vari gruppi di ricercatori, le cui indagini saranno complessivamente coronate da una quindicina di Premi Nobel. La vitamina B12, che protegge dall’anemia perniciosa, è stata scoperta da George Hoyt Whipple, George Richard Minot e William Parry Murphy, che saranno insigniti del Premio Nobel nel 1925.
Un altro elemento essenziale per il funzionamento dell’organismo è lo iodio. La sua carenza si traduce non solo nel gozzo endemico, ma anche nei noduli maligni della tiroide, che esulano dalla specifica funzione ormonale dello iodio e della tiroide. Per esempio, noi oggi sappiamo che la cosiddetta vitamina D è coinvolta sia nel sistema osteoarticolare, sia anche nei processi mentali che presiedono il tono dell’umore (Silvestrini, 2016a).
RIPROSNELLO
Pubblicato anche su: Medici Italia
Bibliografia
- Bovet D (1991), Vittoria sui microbi, Bollati Boringhieri, Torino.
- Galbraith J K (1980), The Nature of Mass Poverty, Penguin Books, London.
- Lehninger AL (1975). Biochemistry, Worth Publisher, NY
- Silvestrini B (2014). Il farmaco Naturale. Un patto esemplare tra uomo e natura. Carocci Ed. Roma
- Silvestrini B (2016a). Medicitalia, La natura nel senso di vita: dai vaccini alla vitamina D e alla collagenopatia carenziale
- Silvestrini B (2016b). Medicitalia, Farmaco naturale e vivisezione
- Silvestrini B, Kirschner G (2000). Integratori alimentari e dietetici contenenti gelatina idrolizzata e loro uso in campo medico-sanitario, IT 1299131.
Medico, cultore della Farmacologia e della Bioetica, ha dedicato l’esistenza alla valorizzazione dei talenti nascosti nella natura e nella Persona umana. Crede nella medicina naturale ed è autore di studi e testi sull’ argomento. Ha realizzato farmaci di rilievo internazionale. Ha sostenuto con borse di studio giovani di talento. Vanta numerosi lavori scientifici, brevetti e trattati. E’ Presidente Onorario di Noopolis e Professore Onorario dell’Università “Sapienza” di Roma e gode della stima della comunità scientifica italiana e internazionale. E’ impegnato col figlio Luca nello sviluppo di un’Azienda farmaceutica fondata sul naturale.